Il potere della Narrazione | Vita di Pi e il Viaggio dell’Eroe
Vita di Pi poggia su un intricato sistema simbolico che si nutre di figure prese in prestito da diverse religioni e correnti spirituali.
È stato spesso interpretato come una critica a un approccio alla vita basato sulla ragione, ma in realtà il discorso è più complesso; il film ha come tematica principale la celebrazione dello Storytelling e del Mito, strumenti indispensabili per giungere a una comprensione più profonda dell’esistenza umana.
Nota: La trattazione prende in considerazione solo il film diretto da Ang Lee, che tra l’altro si differenzia dal libro proprio in alcuni dei passaggi fondamentali che sono presi in analisi di seguito.
NELL’ARTICOLO SONO PRESENTI SPOILER
Uno dei messaggi di fondo di Vita di Pi è che il Mito e il Raccontare sono gli strumenti fondamentali che abbiamo a nostra disposizione per penetrare il senso della vita.
Attraverso l’ascolto e l’elaborazione delle nostre “storie” possiamo elevarci al di sopra della condizione di precarietà che caratterizza l’esistenza umana, accettando e sconfiggendo la sofferenza insita in ognuno di noi.
Lo scambio e la trasfigurazione
Il film si regge per buona parte sull’espediente narrativo dello “scambio” uomo/animale. Nel finale scopriremo, infatti, che la tigre Richard Parker non è altro che una proiezione dello stesso Pi.
In realtà anche all’inizio della storia ci troviamo di fronte a una “sostituzione”.
La tigre che vive nello zoo diretto dal padre di Pi è stata chiamata Richard Parker per sbaglio; è per errore che le viene assegnato il nome del cacciatore che l’aveva catturata.
Più che uno scambio, quella che Pi impone a sé stesso all’inizio della vicenda, è invece una vera e propria trasfigurazione.
Il nome completo di Pi (Piscine) è causa di derisione da parte dei suoi compagni, che cominciano a chiamarlo “piscione”. È grazie al ricorso a una narrazione e all’utilizzo di un simbolo (il Pi greco) che Pi riuscirà a rendere quel nome, così goffo, qualcosa di nobile.
Quando i suoi insegnanti vedranno il ragazzo elencare senza sforzo un numero impressionante di decimali del Pi greco urleranno al miracolo. E, proprio la trasfigurazione, è uno dei “miracoli” per eccellenza.
Nello stesso modo in cui ha trasfigurato il suo “nome”, Pi arriverà a trasformare se stesso nel corso della storia. Da vegetariano arriverà a cibarsi di carne, da vittima diventerà carnefice; come l’acqua (elemento simbolico cardine della narrazione) Pi arriverà ad assumere diversi stati, fino a rinascere in un nuovo e più completo individuo.
L’importanza delle “storie”
Il racconto del naufragio di Pi si incastra all’interno di una cornice narrativa in cui operano il Pi adulto e uno scrittore (Yann) che ascolta le sue memorie.
Yann è in cerca di ispirazione per il suo secondo romanzo. Sente di parlare di un indiano con una storia interessante da raccontare e decide di conoscerlo.
I due si incontrano a casa di Pi.
Pi adulto: Che cosa ci faceva a Pondicherry?
Yann: Scrivevo un romanzo
Pi adulto: Tra parentesi, mi è piaciuto il suo primo libro… allora… questo nuovo è ambientato in India?
Yann: No, in Portogallo in realtà, ma… costa meno vivere in India.
Pi adulto: Ah, bene… non vedo l’ora di leggerlo.
Yann: Non può… l’ho buttato via. Per due anni ho cercato di tenerlo in vita.
E poi un giorno ha sputacchiato, ha tossito, ed è morto.
Pi adulto: Mi dispiace…
Yann in realtà non lo sa, ma è in cerca di qualcosa di più di una semplice storia.
È un artista, un predestinato. Possiede una vocazione (è al secondo libro), ma sta fallendo.
Sta fallendo perché il suo racconto non è autentico.
Yann ambienta il suo libro in Portogallo, ma vive in India perché “costa meno”; la sua arte non combacia affatto con la sua esperienza. L’intento, qui, sembra quello di volerlo caratterizzare come un personaggio guidato da una pulsione utilitaristica più che da una profonda ispirazione.
La natura iniziatica dell’incontro tra Yann e Pi si palesa poco dopo, quando lo scrittore racconta di come è venuto a conoscenza dell’esistenza della persona che gli siede di fronte.
Yann: Dunque, ero seduto in questo bar a Pondicherry un pomeriggio.
Ero amareggiato per la mia perdita, quando un vecchio al tavolo accanto ha cominciato ad attaccare bottone…
Pi adulto: Si, Mamaji fa queste cose…
Yann: Quando gli dissi che avevo abbandonato il mio libro lui replicò: “Allora… un canadese venuto nell’India Francese in cerca di una storia! Bene amico mio… conosco un indiano del Canada Francese con la più incredibile di tutte le storie da raccontare. Deve essere destino che tu e lui vi incontriate”.
Pi adulto: Be’… non parlo di Richard Parker da moltissimi anni.
Mi dica… Mamaji che cosa le ha già detto?
Yann: Ha detto che lei ha una storia che mi farà credere in Dio.
Pi adulto: Lui lo direbbe anche di un pranzo… Riguardo a Dio posso raccontarle la mia storia. Poi deciderà lei stesso cosa credere.
Yann: Mi pare giusto…
Quindi Yann è in cerca di una storia, ma di una storia (una delle tante possibili) capace di farlo credere in Dio (uno dei tanti possibili).
Yann è, simbolicamente, in cerca della fede.
Il viaggio dell’eroe
Dunque Yann è un predestinato (è “destino” che si debba incontrare con Pi), ma ancora non è in grado di raccontare la “sua” storia. Per farlo avrà bisogno di sentire a sua volta il racconto di Pi, un uomo che, come impone l’archetipo dell’Eroe, ha intrapreso un viaggio distaccandosi dalla sua comunità d’origine ed è poi tornato per condividere il frutto della sua esperienza: un principio salvifico per sé stesso e per chi è pronto ad ascoltarlo.
Se Pi non fosse tornato per raccontare la sua storia, il suo viaggio sarebbe stato vano, come emerge dall’analisi di due scene cardine del film: quella dell’incontro tra Pi e Anandi e quella dell’isola carnivora.
L’INCONTRO CON ANANDI
Pi apre gli occhi
L’incontro tra Pi e Anandi (una danzatrice che Pi ha conosciuto durante una lezione di percussioni) avviene, non causalmente, dopo che i due ragazzi si sono cimentati nell’esercizio del ballo e della musica.
Questi due “linguaggi”, come la religione e il Mito, sono qui due strumenti di cui l’uomo dispone per indagare la natura più profonda delle cose; non sono semplici mezzi di intrattenimento.
Anandi: Mi stavi seguendo?
[Anandi si è accorta del pedinamento durante una passeggiata al mercato in compagnia delle sue amiche]

Pi: Questo che vuol dire? [Pi inizia a imitare i movimenti fatti poco prima da Anandi].
Nella danza tu sei passata da pataka, che vuol dire “foresta”… e poi hai fatto… poi hai fatto samputa, che vuol dire “qualcosa che si nasconde”. E dopo hai fatto questo, e poi hai fatto chatura, ma proprio alla fine poi hai fatto questo. Nessuna delle altre danzatrici lo ha fatto… che volevi dire? Che Il Dio dell’Amore si nasconde nella foresta?
Anandi: No. Ha anche “Fiore di Loto” come significato.
Pi: Il Fiore di Loto si nasconde nella foresta?
Ma… perché dovrebbe nascondersi nella foresta?
[La scena finisce senza dare ulteriori spiegazioni, con Anandi che sorride].
Anandi è l’unica danzatrice ad aver fatto l’ultimo simbolo perché, come Pi e come Yann, la sua profonda vocazione per una forma d’arte (un vero e proprio “linguaggio”) le garantisce un punto di vista privilegiato; le permette l’accesso a un mondo che ad altri è inaccessibile.
Il significato “metaforico” immediato della scena è che il Dio dell’Amore sta per mostrarsi ai due ragazzi. Non ha più motivo di restare nascosto.
Poco dopo Anandi comprende anche che Richard Parker (che poi sapremo essere“doppio” dello stesso Pi) è in attesa di qualcosa.
La tigre è in ascolto, vigile.
Il suo viaggio più importante sta per cominciare.
L’ISOLA CARNIVORA DEI SURICATI
La chiusura del cerchio
La scena dell’isola su cui naufraga Pi verso la fine del film potrebbe essere la rappresentazione di un sogno o di una “visione” dello stesso Pi.
L’isola e il grande albero che la ricopre sono probabilmente un riferimento alla dimensione transitoria dell’esistenza umana.

PER APPROFONDIRE: Symbolism of Meerkat Island in the Life of PI
Pi giunge nell’isola dopo che una grande tempesta si è abbattuta sulla zattera, portando lui e Richard Parker a un passo dalla morte.
A tempesta terminata Pi abbraccia la tigre. La loro posa ricorda quella della Passione.

Pi sta accogliendo definitivamente ciò che fino a quel momento aveva fuggito: il concetto profondo di sofferenza, di morte; tutto quello che più ci terrorizza ma che inevitabilmente fa parte dell’esperienza umana.
È il momento di maggior sconforto, ma è anche il momento in cui vi è il massimo livello di gratitudine verso chi gli ha permesso di “esserci”.
Queste sono le parole con le quali Pi si rivolge al cielo:
– Stiamo morendo Richard Parker, mi dispiace…
[fa i nomi dei suoi famigliari] sono contento che presto ci rivedremo.
C’è la pioggia, la senti?
Dio… grazie per avermi donato la vita…
Sono pronto…
Per cosa è pronto Pi?
Pi ha finalmente sperimentato pienamente il dolore che comporta l’umano errare nell’Oceano della Vita.
Ha accettato la morte, la fugacità e la transitorietà dell’esistenza umana; e di tutto questo è grato a Dio, qualunque siano la sua natura e la sua forma.
L’arrivo sull’Isola, sogno, visione o realtà che sia, è il momento in cui Pi, raggiunta una nuova pienezza dell’essere, capisce che la sua missione è quella di dover dare testimonianza della sua Storia.
Questo è infatti l’unico modo per superare l’insensatezza delle nostre vite.
Pi si ritrova in quello che sembra un vero e proprio paradiso. Al suo centro c’è uno stagno d’acqua fresca e sia Pi che Richard Parker possono nutrirsi a sazietà; il ragazzo delle radici dell’albero che infestano l’isola, la tigre dei numerosi suricati che la popolano.
Ma la notte tutto cambia. I suricati, prima che cali il sole, scappano tra le cime degli alberi e Richard Parker va a rintanarsi sulla scialuppa con cui lui e Pi sono approdati sull’isola.
Anche Pi si sistema su un grosso ramo per dormire, mentre alcuni dei piccoli animaletti gli si raccolgono intorno.
Svegliatosi all’improvviso quando ancora è buio, Pi si accorge che l’acqua dello stagno, a causa di uno strano fenomeno chimico, decompone tutti i pesci che sono al suo interno.
L’isola è un enorme organismo carnivoro, che di giorno dispensa la vita e di notte dispensa la morte.

Pi raccoglie uno dei frutti dell’albero su cui si è addormentato e, aprendolo, trova al suo interno un dente umano.
È questo il momento esatto in cui prende coscienza della verità più grande, è questo il completamento della scena in cui afferma di “essere pronto”.
Il mistero che ha Pi ha compreso guardando dentro allo stagno è quello del continuo susseguirsi del ciclo di creazione e distruzione che caratterizza la vita umana; la precarietà stessa della condizione esistenziale degli uomini che, come i suricati, sono spaventati da tutto ciò che Pi è pronto invece ad accettare e superare.
Il dente umano, oltre a rappresentare chi ha fallito sulla via della “salvezza”, ribadisce ancora una volta l’importanza del racconto e del Mito (è un rimando alla bocca).
Il nostro scopo è quello di fuggire una vita superficiale indirizzata al raggiungimento di semplici comodità materiali (il cibo a sazietà), affrontare il mare della vita con coraggio e condividere con i nostri simili quello che abbiamo sperimentato.
È così che l’uomo, essere imperfetto e in balia delle forze della natura, si rende simile a un Dio.
Pi aveva “nobilitato” se stesso creando una mitologia attorno al suo nome. Adesso accede alla dimensione del divino tramite l’acquisizione di una consapevolezza: la necessità del racconto, della testimonianza.
Non è un caso che in una delle prime scene del film veniamo a conoscenza, proprio da un racconto che la mamma di Pi narra a suo figlio, di Krishna; il Dio che nella bocca contiene l’intero universo.
Il cerchio si è chiuso.
Il simbolo del Fiore di Loto
Il frutto che Pi raccoglie sull ‘isola carnivora si apre come un fiore di Loto.
Il fiore di Loto di cui aveva parlato Anandi, che non deve restare nascosto nella foresta/isola, ma, come farà a breve Pi, deve uscire al sole e mostrarsi al mondo.
Il fiore di Loto è un ricorrente simbolo di ascesi spirituale. Per il modo in cui il suo stelo si allunga all’improvviso e per come sia capace di generare fiori meravigliosi pur crescendo in ambenti stagnanti. Il Loto è un simbolo perfetto per rappresentare il percorso di Pi; quello dell’uomo che intraprende un cammino che lo porterà a distaccarsi dalla corruzione della vita quotidiana per giungere a una dimensione più pura e imperturbabile dell’essere.
PER APPROFONDIRE: Simbologia del fiore di Loto
Fede contro Scienza?
Si è parlato di Vita di Pi come di un film che proclama la vittoria della fede sulla ragione, ma il messaggio principale della storia è che la narrazione e il mito sono le chiavi per dischiudere il mistero che avvolge l’esistenza umana.
È triste e sterile la vita di chi non cerca di comprendere i significati che giacciono al di sotto dei Simboli che ci si presentano lungo il nostro cammino.
Vita di Pi cerca in fondo una mediazione tra fede e ragione.
Pi, per arrivare a scoprire il senso della sua esistenza, scappa dai dogmi della fede e allo stesso tempo si distacca da razionalizzazioni estreme.
Lo stesso Yann, a fine racconto, viene messo di fronte ai rischi che comporta la razionalizzazione dei Simboli di cui si serve il Mito nel raccontare la Verità:
Yann: Perciò la iena è il cuoco, il marinaio è la zebra, e sua madre è l’orangutango e lei… la tigre?
Pi adulto: Posso farle una domanda?
Yann: Certo.
Pi adulto: Le ho raccontato due storie su quanto è accaduto in quell’Oceano. Nessuna delle due spiega il motivo per cui affondò la nave e nessuno può dimostrare quale storia sia vera e quale no.
In entrambe le storie la nave è affondata, la mia famiglia è morta e io ho sofferto.
Yann: Vero.
Pi adulto: Allora, quale storia preferisce?
Yann: Quella con la tigre. È una storia migliore
Pi adulto: La ringrazio. È così anche per Dio.
Non importa come giungiamo al superamento delle sofferenze che la nostra condizione di esseri finiti ci impone se siamo in grado poi di fare testimonianza della nostra trasformazione, di indicare una Via per la “guarigione”.
Yann: Mmaji aveva ragione. È una Storia incredibile. Lei mi permetterà di scriverla?
Pi adulto: Certamente. Non è per questo che Mamaji l’ha mandata qui, in fondo?
Mia moglie è arrivata. Vuole rimanere a cena? È una cuoca eccezionale.
Yann: Non sapevo che avesse una moglie.
Pi adulto: E un gatto, e due figli…
Lo scrittore legge il referto dei due addetti della compagnia d’assicurazione che, si, hanno sentito la storia di Pi, ma non ne hanno saputo riconoscere la vera grandezza. Non hanno interesse a recepire il messaggio profondo della Storia. Il dato che a loro importa è solo quello relativo al motivo dell’affondamento della nave. Paradossalmente credono che il racconto di Pi (la iena, la zebra, la tigre…) sia vero, ma non ne hanno compreso la Verità più profonda.
Yann finalmente “comprende”.
I Miti hanno diversi livelli di lettura, c’è chi si ferma a quello superficiale, dogmatico, e chi li penetra in tutta la loro profondità.
Pi si è trasformato tramite il viaggio e adesso ha mutato nel profondo l’uomo che ha ascoltato la sua storia.
Il suo interlocutore capisce che dobbiamo fare “nostro” il Mito, elaborarlo e renderlo ogni volta autentico. E così ritrova la sua fede. Non vivrà più su un livello utilitaristico, ma asseconderà pienamente la sua vocazione.
Pi è l’eroe che, tramandando una “scoperta”, ha compiuto la sua missione. Lui, sua moglie e i suoi figli, sono la rappresentazione di una nuova comunità a cui adesso si aggiunge Yann (che rientra metaforicamente nel flusso della vita dopo aver trovato il “suo” principio salvifico).
Stanno tutti per riunirsi attorno alla tavola, luogo di condivisione per eccellenza; e quel micio che vive insieme alla famiglia forse è un simbolo di ciò che rimane di Richard Parker, il vecchio demone che adesso Pi ha addomesticato e che convive pacifico e inoffensivo dentro di lui.
Yann: Allora la sua storia ha un lieto di fine.
Pi adulto: Beh, dipende da lei. La storia è sua adesso…